giovedì 22 marzo 2018

Infanzia e approccio sistemico relazionale.


di Letizia Tinacci, psicologa psicoterapeuta. 


Il settore dove ho applicato i miei primi rudimenti di psicologia relazionale è stato il mondo dell’infanzia. All'inizio della specializzazione presso il C.S.A.P.R, infatti, gestivo, con la cooperativa che avevo fondato, spazi gioco e ludoteche per conto di enti pubblici. 
Ogni pomeriggio accoglievo una ventina di bambini 0-3 anni, con le loro famiglie; ogni pomeriggio, dovevo avere chiari gli obbiettivi del servizio, ascoltare i bisogni dei piccoli e degli adulti che li accompagnavano, gestire le dinamiche di gruppo, quelle con i colleghi e quelle con i committenti. E’ stata la palestra relazionale più importante della mia vita, una “doccia fredda sistemica” che mi ha obbligato a tener conto di tutti, escludendo per necessità ( e magari neanche con tanta consapevolezza!) una visione lineare della realtà, che mi avrebbe suggerito una relazione esclusiva con i bambini, tralasciando le altre preziosissime parti in gioco.
Successivamente ho avuto un incarico di psicologa al Centro Affidi..stavolta potevo appoggiarmi alla pregressa esperienza, ma la posta in gioco era ancora più alta ed il livello di complessità era maggiore. L’obbiettivo era il benessere del minore e proprio per questo non potevo prescindere dalla rete di relazioni significative a cui apparteneva: la famiglia d’origine e quella affidataria, il suo contesto scolastico e sociale, i Servizi di riferimento.
In parallelo non potevo perdere di vista me stessa, la relazione con il bambino, quelle con i colleghi e con i miei committenti, le aspettative legate al ruolo.
 Di nuovo la psicologia relazionale si é rivelata preziosa: al passo con i cambiamenti repentini di questo momento storico e con la necessità di adattarsi ai diversi contesti, relativamente breve e molto efficace anche su un piano concreto.
Da allora non ne faccio più a meno, sono una "relazionale-addict " convinta!

martedì 6 marzo 2018

LA PORTA APERTA Il ruolo del teatro nella mia esperienza didattica e clinica.

di Marco Venturelli, psicologo psicoterapeuta.

Le mie esperienze in campo teatrale sono state un elemento importante della mia crescita personale e professionale. Negli anni successivi la scelta di diventare psicoterapeuta e didatta mi ha stimolato e incoraggiato ad esplorare le connessioni tra la psicoterapia e quella parte del teatro di ricerca la cui essenza si fonda sulla relazione che si crea tra attore e spettatore nel tempo presente e nello spazio in cui l'evento teatrale ha luogo.
Un teatro vivo, in cui “recitare” non vuol dire “far finta”, ma essere presenti in quel momento, attenti nel qui e ora, senza smanie di protagonismo o inutili esibizioni di abilità tecniche, coltivando una costante attenzione rivolta a sé e all’altro.

Nel mio lavoro di terapeuta e di didatta in alcuni casi utilizzo la “lente” del teatro. Nella didattica in particolare, questo si traduce nell’utilizzazione di esercizi esperienziali per lavorare e riflettere sulla persona dell’allievo, un’opportunità aggiuntiva che può contribuire ad affinare e potenziare aspetti personali/stilistici del futuro terapeuta. Nel corso degli anni le necessità formative emergenti dalla relazione con gli allievi mi hanno stimolato a creare nuovi esercizi.

Mi piace immaginare la formazione e per certi versi anche l’attività clinica, come la situazione di chi apprende l’arte di diventare funambolo: è responsabilità del funambolo più esperto utilizzare tutti gli accorgimenti possibili per insegnare all’altro a stare in equilibrio, mentre è compito dell’allievo utilizzare al meglio il proprio desiderio di apprendere…in fondo entrambi camminano sulla stessa fune!

Dr. Marco Venturelli, Psicoterapeuta, Didatta C.S.A.P.R.