di Valentina Albertini, psicologa psicoterapeuta.
La teoria del ciclo di vita della famiglia e
dell'individuo nasce con gli studi di Jay Haley negli
anni '70. Haley sosteneva che nel corso della vita ogni famiglia ha
dei "compiti" evolutivi da svolgere per passare da una fase
alla successiva: dalla coppia al matrimonio, dalla nascita dei figli
alla crescita, dallo svincolo all'invecchiamento. Il passaggio da una
fase alla successiva comporta grande stress per l'individuo e il
sistema; proprio in questi "scalini evolutivi" possono
quindi crearsi ostacoli che impediscono la crescita e lo sviluppo,
portando alla comparsa di sintomi e difficoltà, sia personali che
relazionali. L’uso del concetto del ”ciclo di vita”, molto
frequente in psicoterapia sistemico-relazionale, ha consentito
fino ad oggi di rappresentare la vita delle persone scomponendola
in alcune fasi essenziali, permettendoci di fare diagnosi
e interventi a partire proprio dai compiti evolutivi del sistema, o
dell'individuo, che chiede la terapia.
A livello generale, negli ultimi venti anni i mutamenti socio
economici hanno portato nuovi fattori di cambiamento dipendenti dalle
differenti situazioni. I processi di trasformazione del nostro
sistema sociale evidenziano oramai la difficoltà di utilizzare il
concetto di ciclo di vita senza rivederne alcuni dei punti
teorici di base. Bertin (2013) in una revisione della letteratura
esistente, ci segnala l’opportunità di prendere in considerazione
altri concetti, fra i quali quello di “corsi di vita”.
Tale concetto sostituisce una visione lineare di sviluppo
dell’esistenza con una per la quale i cambiamenti sociali che
caratterizzano la vita delle persone sono da ricercarsi negli eventi
e nelle esperienze che gli individui incontrano nel loro percorso.
Questi eventi possono infatti ripresentarsi, e
ricostruire le condizioni entro le quali si sono già realizzate le
esperienze personali. I rischi, quindi, non sono più specifici delle
singole fasi della vita, ma legati ad eventi critici che possono
essere ricorsivi e ripresentarsi più volte lungo il corso della vita
(ad esempio il quarantenne che perde il lavoro e torna a vivere con i
genitori, dovendo ricontrattare spazi di convivenza e autonomia).
Simile concetto è quello di “spirali di vita” sviluppato
da Combrinck Graham (1985) che teorizza i cambiamenti degli individui
come il prodotto delle connessioni tra la vita della persona e gli
eventi spesso instabili del contesto sociale ed economico. In
quest'ottica le dinamiche familiari presentano un processo a spirale
nel quale i "momenti" che ne segnano i cambiamenti (la
nascita della coppia, i figli, la loro uscita, la separazione..) si
possono presentare più volte nella vita di una persona, implicando
la costruzione di nuovi e differenti legami. Questo è un concetto
che può essere molto utile in alcuni contesti terapeutici:
immaginiamoci un nostro paziente di 50 anni separato con un figlio
25enne che ha appena avuto dei bambini; questo stesso cinquantenne è
sposato in seconde nozze con una donna che lo ha reso di nuovo padre.
Il nostro ipotetico paziente si trova quindi a vivere,
contemporaneamente, due fasi differenti del ciclo di vita.
Probabilmente questo racconto sarebbe stato eccezionale negli anni
'70, ma nella contemporaneità situazioni come questa rappresentano
una buona fetta di realtà, e un terapeuta sistemico relazionale deve
farci i conti. Bertin sostiene che questi mutamenti rendono meno
stabile la solidarietà intergenerazionale: se questo e vero, ne
vedremo a breve gli effetti dentro le stanze di psicoterapia.
Al di là delle geometrie che decidiamo di utilizzare per descrivere
le nostre storie, infatti, l'incrocio fra i cambiamenti dei
macrosistemi e gli effetti sui microsostemi in cui viviamo possono
essere luoghi di grande interesse sistemico, in ambito sia teorico
che clinico.