mercoledì 31 gennaio 2018

Cicli, casi, spirali. Riflessioni sull'evoluzione del concetto di Ciclo di vita

di Valentina Albertini, psicologa psicoterapeuta.


La teoria del ciclo di vita della famiglia e dell'individuo nasce con gli studi di Jay Haley negli anni '70. Haley sosteneva che nel corso della vita ogni famiglia ha dei "compiti" evolutivi da svolgere per passare da una fase alla successiva: dalla coppia al matrimonio, dalla nascita dei figli alla crescita, dallo svincolo all'invecchiamento. Il passaggio da una fase alla successiva comporta grande stress per l'individuo e il sistema; proprio in questi "scalini evolutivi" possono quindi crearsi ostacoli che impediscono la crescita e lo sviluppo, portando alla comparsa di sintomi e difficoltà, sia personali che relazionali. L’uso del concetto del ”ciclo di vita”, molto frequente in psicoterapia sistemico-relazionale, ha consentito fino ad oggi di rappresentare la vita delle persone scomponendola in alcune fasi essenziali, permettendoci di fare diagnosi e interventi a partire proprio dai compiti evolutivi del sistema, o dell'individuo, che chiede la terapia.

Da alcuni anni però sta emergendo una necessità di revisione delle fasi del ciclo di vita pensate da Haley. Queste erano infatti altamente coerenti con la società degli anni '60 e '70, e sono rimaste valide per i decenni successivi. Per un trentenne in quegli anni era infatti abbastanza scontato uscire di casa e trovare un lavoro, sposarsi, avere dei figli, andare in pensione a 60 anni... erano eventi più rari le crisi economiche, le perdite di lavoro, le precarietà, avere più matrimoni, le famiglie ricostituite.


A livello generale, negli ultimi venti anni i mutamenti socio economici hanno portato nuovi fattori di cambiamento dipendenti dalle differenti situazioni. I processi di trasformazione del nostro sistema sociale evidenziano oramai la difficoltà di utilizzare il concetto di ciclo di vita senza rivederne alcuni dei punti teorici di base. Bertin (2013) in una revisione della letteratura esistente, ci segnala l’opportunità di prendere in considerazione altri concetti, fra i quali quello di “corsi di vita”. Tale concetto sostituisce una visione lineare di sviluppo dell’esistenza con una per la quale i cambiamenti sociali che caratterizzano la vita delle persone sono da ricercarsi negli eventi e nelle esperienze che gli individui incontrano nel loro percorso. Questi eventi possono infatti ripresentarsi, e ricostruire le condizioni entro le quali si sono già realizzate le esperienze personali. I rischi, quindi, non sono più specifici delle singole fasi della vita, ma legati ad eventi critici che possono essere ricorsivi e ripresentarsi più volte lungo il corso della vita (ad esempio il quarantenne che perde il lavoro e torna a vivere con i genitori, dovendo ricontrattare spazi di convivenza e autonomia). Simile concetto è quello di “spirali di vita” sviluppato da Combrinck Graham (1985) che teorizza i cambiamenti degli individui come il prodotto delle connessioni tra la vita della persona e gli eventi spesso instabili del contesto sociale ed economico. In quest'ottica le dinamiche familiari presentano un processo a spirale nel quale i "momenti" che ne segnano i cambiamenti (la nascita della coppia, i figli, la loro uscita, la separazione..) si possono presentare più volte nella vita di una persona, implicando la costruzione di nuovi e differenti legami. Questo è un concetto che può essere molto utile in alcuni contesti terapeutici: immaginiamoci un nostro paziente di 50 anni separato con un figlio 25enne che ha appena avuto dei bambini; questo stesso cinquantenne è sposato in seconde nozze con una donna che lo ha reso di nuovo padre. Il nostro ipotetico paziente si trova quindi a vivere, contemporaneamente, due fasi differenti del ciclo di vita. Probabilmente questo racconto sarebbe stato eccezionale negli anni '70, ma nella contemporaneità situazioni come questa rappresentano una buona fetta di realtà, e un terapeuta sistemico relazionale deve farci i conti. Bertin sostiene che questi mutamenti rendono meno stabile la solidarietà intergenerazionale: se questo e vero, ne vedremo a breve gli effetti dentro le stanze di psicoterapia.
Al di là delle geometrie che decidiamo di utilizzare per descrivere le nostre storie, infatti, l'incrocio fra i cambiamenti dei macrosistemi e gli effetti sui microsostemi in cui viviamo possono essere luoghi di grande interesse sistemico, in ambito sia teorico che clinico.


Bertin, G. (2013). Welfare regionale in Italia. Politiche sociali: studi e ricerche.

COMBRINCK-GRAHAM, L. (1985), A Developmental Model for Family Systems. Family Process, 24: 139–150. doi:10.1111/j.1545-5300.1985. 00139.x


domenica 28 gennaio 2018

L’approccio sistemico-relazionale nel lavoro di rete tra il CSAPR di Prato e gli operatori della ASL di Firenze

di Maria Antonietta Gulino, psicologa psicoterapeuta.


Per dirla alla Jay Haley “meglio partire dal più complesso che dal più semplice”.


L’ approccio sistemico-relazionale è decisamente un approccio “multidimensionale”, “multi-topico”, “multi-verso”. Oltre al trattamento clinico di famiglie, coppie e individui, si rivolge alla costruzione di canali comunicativi e alla progettazione di obiettivi clinico-educativi anche in contesti di lavoro altri rispetto al setting tipicamente clinico.
Negli ultimi dieci anni mi sono occupata all’interno del CSAPR di Prato del lavoro di rete con gli operatori della Neuropsichiatria della Asl di Firenze, tra vincoli e possibilità. I vincoli sono quelli relativi alle diverse azioni sanitarie, sociali, educative e psicoterapeutiche che perseguono obiettivi diversi a secondo delle diverse professionalità in campo; le possibilità sono quelle relative ad un modo di operare in rete che sia “integrato” e cioè circolare e reciproco tra le varie figure e tra i diversi interventi.
L’idea di base sta nell’aver messo al centro non solo l’individuo e le sue relazioni significativi ma anche e soprattutto le relazioni che la famiglia in carico ha con i molteplici sistemi di cura, ritenendo che circolarità e scambio efficace tra tutti questi attori ha un’incidenza significativa ai fini della di una prognosi favorevole.
Spesso il focus dell'interesse della famiglia e dei Servizi è il sintomo-problema invece che tutto ciò che il sintomo sottende, quindi dinamiche familiari dolorosamente bloccate che spesso mettono in difficoltà i Servizi, costretti all’invio in Terapia Familiare come “ultima spiaggia”.
La ricerca di un livello “Meta” di condivisione tra i curanti da una parte riduce il rischio molto comune di “rincorrere” o “riproporre” dinamiche sintomatiche ridondanti per cui è previsto spesso assistenzialismo e collusione col contesto che le ha prodotte dall’altra propone in alternativa una matrice di significati nuova, condivisa con i Servizi che hanno in carico i casi.
Attraverso una sinergia di interventi terapeutici, farmacologici, sociali e educativi ( e quindi attraverso riunioni d’equipe, scambi di riflessioni, aggiornamenti attraverso telefonate e mail ) l’obiettivo di un Lavoro di Rete con i Servizi è creare differenze e quindi evoluzione e cambiamento, il tutto nel rispetto dei diversi ruoli professionali pubblici e privati coinvolti (neuropsichiatri infantili, assistenti sociali, educatori, psicologi e psicoterapeuti sistemici).
Gli esiti del lavoro incrociato tra CSAPR, Servizi e famiglie permette di fare alcune riflessioni finali.
Il nostro modus operandi si è basato sulla ricerca di un confronto con gli operatori della Asl e con tutti gli altri sistemi coinvolti per far emergere i punti in comune di una sinergia da condividere e per togliere alle differenze professionali quella componente ansiogena con cui spesso si confronta chi fa questo lavoro. Questo è alla base di una fiducia reciproca e di una collaborazione multiprofessionale.
La conseguenza più evidente è stata una diminuzione della frequenza dei tempi di invio della NPI al nostro Centro Studi: abbiamo spiegato questo fenomeno ipotizzando che un intervento tempestivo e sinergico accorci i tempi “patologici” a carico della famiglia, che a sua volta è a carico dei Servizi.
Mettere in Rete prima e costruire una Rete dopo con la famiglia e con gli enti istituzionali ha permesso di ridurre sterili conflitti, allargare sulle incomprensioni e aggiungere punti di vista.
Il lavoro di équipe del Centro Studi ha assolto alla funzione di “mediatore intersistemico” laddove errori comunicativi e impasse potevano colludere o bloccare il progetto terapeutico dei sistemi curanti.
Si è creato così un clima più disteso in cui la famiglia si è accomodata affidandosi ai professionisti e successivamente puntando sulle proprie risorse familiari. Fare leva su questo piuttosto che evidenziare i limiti e le mancanze del sistema familiare, a nostro parere, è il punto di forza per ottenere il cambiamento e gradi sempre maggiori di salute.
Se la famiglia riesce a percepire il “Sistema Curante” come alleato metterà in campo le sue risorse, si impegnerà per superare le difficoltà e alla fine del processo terapeutico riconoscerà in sé stessa la capacità di uscire dal problema.
Una volta rimosso lo spettro della cronica patologizzazione, la famiglia si vedrà riconosciuta la possibilità di “auto guarirsi”. Ciò alimenterà un circolo virtuoso per cui, superata una crisi, il sistema familiare si sentirà in grado di superarne altre.
In questo modo non è difficile immaginare un guadagno socio-sanitario anche di tipo economico, poiché una sinergia di interventi riduce i tempi di cura e il numero di personale coinvolto interrompendo il circolo della cronicità. E inoltre il cambiamento effettuato e l’apprendimento nuovo che ne deriva riducono la probabilità di ricadute.

Il progetto di lavorare in rete ha avuto queste finalità: aumentare il benessere dell’utenza attraverso ipotesi e strategie di intervento ragionate e aspettative di salute realistiche, creare modalità comunicative efficaci e autotrasformative tra i curanti per uscire dall’idea di assistenza, lavorare più nella direzione della prevenzione che esclusivamente della cura. Del resto nel caso dei servizi di NPI i bambini o gli adolescenti di oggi saranno gli adulti di domani e rispondere al disagio in tempi sempre più brevi e anticipati riduce il rischio dell’espressione di disturbi di personalità da adulti.