Negli
anni universitari, orientati alla psicologia dei gruppi e delle
organizzazioni prima, e della psicologia sociale e di comunità poi,
sembrava impossibile pensarmi a lavorare in ambito clinico: troppo
individuo, troppo intrapsichico per me! Nel tempo ho però scoperto
l’orientamento sistemico relazionale, rimanendone affascinata.
Portava a sintesi tutto quello che fino a quel momento avevo amato:
le dinamiche dei gruppi, le relazioni personali e sociali, il
coinvolgimento di più attori nei processi di cambiamento, la non
neutralità dello psicologo. Da quel momento qualcosa è cambiato, e
immaginarmi psicoterapeuta non è stato più così difficile.
La
promessa di ampia applicabilità del paradigma sistemico che tanto mi
aveva fatta innamorare è stata dalla formazione successiva completamente
mantenuta ed ho avuto ed ho tuttora la possibilità di utilizzare le
competenze sistemiche in molteplici contesti (organizzazioni,
associazioni di volontariato, aziende) dove nel tempo mi è capitato
di fare consulenze e formazione.
Due
anni fa, contattata da un ente che si occupa della gestione di Centri
di Accoglienza Straordinaria per migranti e progetti per richiedenti
asilo, ho iniziato l’avventura della supervisione degli operatori
che lavorano in questo ambito.
L’approccio
sistemico in questo lavoro è stato molto utile: mi ha infatti
permesso di lavorare su tre livelli contemporaneamente: un livello
individuale riguardante i vissuti personali degli operatori nel loro
lavoro a contatto con le storie dei migranti, difficili e ad alto
impatto emotivo; un livello relazionale del gruppo-colleghi, un
luogo che, se funziona, può diventare un contenitore utile a
prevenire il burnout degli operatori; un livello relazionale fra il
gruppo operatori e l’esositema-associazione, all’interno del
quale a volte possono crearsi frizioni o conflitti.
Avere
una formazione sistemica in questo contesto è stato come avere più
occhi per guardare un fenomeno complesso le cui dinamiche si
sviluppavano a più livelli, e rappresentano in varie maniere un
incontro fra culture differenti.
Ma
la visione sistemica è, per sua natura, interculturale: noi sappiamo
che già osservando un sistema ne facciamo parte, ed è la nostra
chiave di lettura che condiziona le relazioni che si creano.
Dopotutto, come dice l’antropologo Marco Aime, “la cultura non è
il comportamento umano, ma la chiave che usiamo per leggerlo e
interpretarlo”. E l’approccio sistemico dà proprio questo: una
chiave di lettura e interpretazione delle culture che ogni sistema
umano porta con sé.
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