martedì 10 ottobre 2017

L’approccio sistemico relazionale nella supervisione di progetti per migranti e richiedenti asilo

di Valentina Albertini, psicologa psicoterapeuta, socia e didatta Csapr.


Negli anni universitari, orientati alla psicologia dei gruppi e delle organizzazioni prima, e della psicologia sociale e di comunità poi, sembrava impossibile pensarmi a lavorare in ambito clinico: troppo individuo, troppo intrapsichico per me! Nel tempo ho però scoperto l’orientamento sistemico relazionale, rimanendone affascinata. Portava a sintesi tutto quello che fino a quel momento avevo amato: le dinamiche dei gruppi, le relazioni personali e sociali, il coinvolgimento di più attori nei processi di cambiamento, la non neutralità dello psicologo. Da quel momento qualcosa è cambiato, e immaginarmi psicoterapeuta non è stato più così difficile.
La promessa di ampia applicabilità del paradigma sistemico che tanto mi aveva fatta innamorare è stata dalla formazione successiva completamente mantenuta ed ho avuto ed ho tuttora la possibilità di utilizzare le competenze sistemiche in molteplici contesti (organizzazioni, associazioni di volontariato, aziende) dove nel tempo mi è capitato di fare consulenze e formazione.
Due anni fa, contattata da un ente che si occupa della gestione di Centri di Accoglienza Straordinaria per migranti e progetti per richiedenti asilo, ho iniziato l’avventura della supervisione degli operatori che lavorano in questo ambito.
L’approccio sistemico in questo lavoro è stato molto utile: mi ha infatti permesso di lavorare su tre livelli contemporaneamente: un livello individuale riguardante i vissuti personali degli operatori nel loro lavoro a contatto con le storie dei migranti, difficili e ad alto impatto emotivo; un livello relazionale del gruppo-colleghi, un luogo che, se funziona, può diventare un contenitore utile a prevenire il burnout degli operatori; un livello relazionale fra il gruppo operatori e l’esositema-associazione, all’interno del quale a volte possono crearsi frizioni o conflitti.
Avere una formazione sistemica in questo contesto è stato come avere più occhi per guardare un fenomeno complesso le cui dinamiche si sviluppavano a più livelli, e rappresentano in varie maniere un incontro fra culture differenti.

Ma la visione sistemica è, per sua natura, interculturale: noi sappiamo che già osservando un sistema ne facciamo parte, ed è la nostra chiave di lettura che condiziona le relazioni che si creano. Dopotutto, come dice l’antropologo Marco Aime, “la cultura non è il comportamento umano, ma la chiave che usiamo per leggerlo e interpretarlo”. E l’approccio sistemico dà proprio questo: una chiave di lettura e interpretazione delle culture che ogni sistema umano porta con sé.

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