sabato 11 marzo 2017

La costruzione della famiglia adottiva: senso di appartenenza reciproca e dimensione temporale.

di Chiara Benini, Psicologa e Psicoterapeuta


Diventare genitori è certamente un’esperienza impegnativa, una rivoluzione che cambia per sempre la propria vita e non solo. I confini familiari si ricontrattano, il rapporto con il lavoro si modifica, il tempo libero scompare e gli equilibri di coppia sono da ritrovare. Il bambino, in base alle sue caratteristiche e a quelle della famiglia in quel preciso momento storico, può risultare più o meno impegnativo ma sempre porta con sé molte nuove esperienze, necessità che prima, in una coppia senza figli, non cerano.

Molto è stato detto e scritto sui compiti che questa fase del ciclo vitale di una famiglia prevede e su ciò che accade se quelli delle fasi precedenti non erano risolti, così come sulle conseguenze su adulti e minori di un fallimento dell’acquisizione dei ruoli genitoriali.

L'esperienza adottiva somma a tutto questo le complessità di un figlio generato in altri corpi, in altri Paesi, e che spesso ha già un bagaglio non piccolo di esperienze proprie. Per breve e semplice che la sua storia preadottiva possa essere, l’inserimento prevede sempre una quota di sradicamento, di perdita di legami e abitudini, di cambiamento di quello che è funzionale o meno nel nuovo sistema.

Non di rado i significati attribuiti da genitori, insegnanti, nonni, zii… tutti più o meno preparati, sono differenti da quelli del figlio o dei figli di recente adozione. Manca ancora un linguaggio davvero condiviso, anche quando ci si esprime nello stesso idioma. Se la famiglia, come spesso è definita, è un sistema con storia, dobbiamo pensare che serva tempo per diventarlo.  Anche se sin dal primo giorno il genitore riconosce il bambino come suo figlio, lo fa ad un livello razionale, o nella migliore delle ipotesi in risposta ad un istinto antico a prendersi cura di un cucciolo, anche se non è il proprio.

Allo stesso modo il bambino può affidarsi rapidamente e chiamare subito i neogenitori “mamma” e “papà” ma senza sapere fino in fondo cosa queste etichette significhino. Solo con il tempo la famiglia svilupperà un senso vero di reciproca appartenenza, iniziando a conoscere dettagli e idiosincrasie gli uni degli altri, costruendo esperienze comuni di vicinanza e di condivisione.

Molto spesso invece l’aspettativa, corroborata dalle etichette linguistiche, di essere già da subito famiglia a tutti gli effetti genera fatiche e problemi che potrebbero essere evitati e che talvolta, sfortunatamente, innescano circoli viziosi che portano in terapia o ancor peggio al fallimento adottivo e/o alla separazione della coppia genitoriale. Infatti davanti alla delusione di un’aspettativa tanto a lungo coltivata la tentazione di letture lineari è molto forte, si tende a dimenticare che le relazioni si costruiscono e curano da ambo le parti, pur con compiti e responsabilità differenti.

La visione sistemica ci aiuta in questi casi a tenere “dentro” tutti gli elementi in gioco, in primis genitori e figli, entrambi spesso divisi tra onnipotenza e impotenza, ma anche la scuola, l’intorno sociale, la cultura di origine… poiché non siamo mai quadri composti da un solo colore, bensì continui intrecci di toni diversi, con pennellate a volte più pesanti ed evidenti, altre minime ma non meno significative nel dare equilibrio al quadro complessivo.

Questo sguardo poliedrico, seppure in apparenza più faticoso, una volta allenato permette di navigare anche nelle acque meno tranquille con relativa sicurezza e di capire dove bastano le proprie forze e dove, invece, è utile o necessario un aiuto esterno che ci ridia la rotta o ci traini per un po’, fino ad un porto in cui riposare e fare provviste per la prossima tappa.